Torna al blog
Affrontare la Vergogna in Terapia

La vergogna rientra tra le emozioni di base, è un’esperienza molto spiacevole che coinvolge l'individuo nella sua interezza. La vergogna è un’emozione fortissima, talmente forte che  è capace di provocare nella persona che la prova un cambiamento somatico. Le guance diventano rosse, il cuore batte forte ed il corpo resta bloccato. Nel momento in cui ci si vergogna le emozioni di paura, rabbia e tristezza si alternano scatenando una forte crisi interiore. E’ come se la vergogna dipendesse intrinsecamente dalle altre emozioni negative di base.  Anche se vorremmo fuggire non ci riusciamo.

Possiamo dire che la vergogna si presenta ogni volta che ci sentiamo osservati e giudicati dall'esterno e in quell’occasione ogni movimento, ogni respiro diventa controllato, giudicato (internamente a ritmo frenetico), cercando quanto più possibile di non fare ulteriori danni.

Ma a cosa serve la vergogna? Perché continua ad arrivare all'improvviso?  

La vergogna è un’emozione sociale, la sua dimensione è vissuta con l'altro a differenza del senso di colpa che rimane molto più una sensazione interna di cui l'altro non è reso consapevole. La vergogna, quindi, è una emozione che ci può servire a dare agli altri la possibilità di vederci nelle nostre fragilità. Se l'altro vede la nostra vergogna potrebbe aiutarci a non sentirci più così. Ci vergogniamo quando non ci sentiamo all'altezza di chiedere,  discutere, affrontare l'altro, perché crediamo che sicuramente falliremo.

Essenzialmente la vergogna nasce dalla perdita pubblica della propria immagine personale. E’ la classica situazione in cui si dice “che figuraccia che ho fatto”.

L’immagine che abbiamo di noi stessi è l'insieme delle conoscenze e delle valutazioni positive e negative che noi crediamo gli altri abbiano di noi.  L'immagine personale è molto importante poiché è alla base della nostra identità individuale e del nostro profilo di personalità, inoltre contribuisce in modo efficace a stabilire la nostra posizione sociale entro la rete dei rapporti interpersonali che intratteniamo con gli altri e con la società in generale. 

Alcuni studiosi hanno affermato che la vergogna è un problema di desiderabilità sociale poiché per ognuno di noi è naturale voler essere desiderabili da parte degli altri, voler essere stimati e apprezzati, sapere di occupare una posizione rilevante e significativa nella loro vita. Ovviamente nessuno vuole essere oggetto di derisione e vilipendio, è in gioco la presentazione di sè agli altri. Si tratta di un'operazione strategica poiché uno dei nostri scopi fondamentali è quello di far aumentare la frequenza ed il livello delle percezioni e delle valutazioni positive degli altri nei nostri confronti.  In questo modo noi acquisiamo un potere sociale sempre più rilevante nell’influenzare e nell’orientare i comportamenti e le decisioni altrui.

Nella vergogna abbiamo una caduta profonda del livello di autostima: non soltanto diciamo "chissà cosa penseranno di me", ma soprattutto "come mi sono ridotto, non sono capace neanche di fare questo". Questa compromissione della propria reputazione suscitata dalla trasgressione importante di norme di valori e di aspettative altrui che ci fa sentire profondamente inadeguati è fuori posto. Ci sentiamo una nullità.  

Qual è dunque la via d'uscita? Come affrontare la vergogna?  

A questa domanda possiamo, in parte, rispondere evidenziando l'importanza dell'autostima. Essa è fondamentale nella vita di ogni individuo poiché soltanto un buon livello di autostima consente di possedere un’identità valida e robusta, di mantenere un soddisfacente grado di efficacia e di vivere in una condizione di benessere psicologico.  Di contro invece un basso livello di autostima riflette una condizione permanente di inferiorità rispetto agli altri. Questa si manifesta con sentimenti di insicurezza e di ansia mostrando un continuo bisogno di approvazione e di conferma da parte degli altri. Ma anche chi ha un livello eccessivamente elevato di autostima può avere dei problemi poiché non riesce a tollerare le critiche degli altri, anche quando sono giuste, e può adottare comportamenti irrealistici o inappropriati, orientati alla prepotenza e alla prevaricazione.

L'autostima, in questo caso, può essere  vista come l'incontro fra la proposta soggettiva di ognuno di auto-percezione e quella di come ci sentiamo giudicati dagli altri.  Per definizione la vergogna compare tanto più spesso quanto più è autoritario e dogmatico il gruppo di appartenenza e quanto più si fa ricorso alla disapprovazione in diretta.

Il lavoro in psicoterapia sulla vergogna

In Psicoterapia quando si arriva a trattare la vergogna bisogna essere molto attenti e delicati perché si va incontro ad una delle più grandi fragilità della persona. E’ scontato dire che tutti abbiamo difficoltà a confidare qualcosa di cui ci vergogniamo e quindi, questo tema deve essere affrontato quando la fiducia interpersonale tra terapeuta e paziente è già ben strutturata, salda. Nonostante ciò quando si arriva a lavorare sulla vergogna possono emergere molte resistenze e difficoltà. Quando questo accade, bisogna rispettare i tempi della persona senza forzala ad affrontare qualcosa di potenzialmente minaccioso per la propria immagine. Un esercizio molto utile, in Psicoterapia della Gestalt, quando affrontiamo la vergogna può essere quello della “sedia vuota” ma anche il semplice immedesimarsi nei panni dell’altro in una situazione che ci fa sentire vergogna. E’ una tecnica quasi teatrale in cui ci si immedesima in una situazione in cui in passato è emersa la vergogna. In questo esercizio si cerca di percepire, sentire cosa l’altro pensa di noi e come noi possiamo rispondere o spiegare ciò che sentiamo. L’aspetto importante in questo esercizio è riuscire a dare al paziente una piccola sicurezza in più rispetto alla propria modalità di interazione, andando a migliorare la percezione della propria immagine in una determinata situazione. Il lavoro in terapia va inoltre incentrato sul miglioramento dell’autostima andando ad esaltare tutte le caratteristiche personali, valori, passioni, desideri, facendo sentire la persona vista ma non giudicata, accolta nella sua difficoltà e non derisa, aiutata e non esclusa.

Il ritmo del cervello ed il ritmo della vita

La Terra è un ambiente ritmico dove la temperatura, le precipitazioni e la luce del giorno variano con le stagioni. La luce ed il buio si alternano ogni giorno, le maree si alzano e si abbassano. Per essere davvero competitivo e per sopravvivere un animale deve essere in grado di adattarsi al ritmo dell'ambiente in cui vive. Il cervello gestisce  una grande varietà di sistemi per il controllo ritmico, di cui il sonno e la veglia sono quelli più evidenti.  Alcuni ritmi controllati dal cervello, tuttavia, hanno periodi più lunghi come il letargo mentre altri hanno periodi più corti come i cicli della respirazione, gli stadi del sonno durante la notte e i ritmi elettrici della corteccia cerebrale. Le funzioni di alcuni ritmi cerebrali sono conosciute mentre altre sono oscure ed alcuni ritmi sono indicativi di patologia (epilessie, cefalee, emicrania ecc.). Il proencefalo ed in particolare la corteccia cerebrale producono un certo numero di ritmi elettrici rapidi che sono facilmente misurabili e che sono altamente correlati con lo stato di sonno/veglia. L'elettroencefalogramma è il metodo classico (ed il più utillizzato poichè non invasivo) per la registrazione dei ritmi del cervello ed è essenziale per lo studio del sonno e della la veglia. 

Dunque, gli orologi che governano i ritmi circadiani sono situati nel cervello ed influenzano profondamente la nostra salute ed il nostro benessere. Una prova dell'esistenza di un orologio biologico interno proviene da un organismo privo di cervello, la pianta della mimosa. La mimosa solleva le sue foglie durante il giorno e le abbassa durante la notte. A molti popoli sembrava ovvio che la pianta reagisse alla luce del sole attraverso qualche sorta di movimento riflesso. Nel 1729 il fisico francese Jean Jaques d'Ortous de Mairan verificò l'ipotesi; egli mise alcune piante di mimosa in una stanza buia e trovò che continuavano a sollevare ed abbasare le foglie. Mairan credeva che la pianta riuscisse in qualche modo a percepire il movimento del sole anche chiusa in una stanza. In seguito il botanico svizzero Augustine de Canolle mostrò che una pianta simile al buio muoveva le foglie su e giù ad un intervallo di 22 ore, anzichè di 24 ore. Questo implicava che la pianta non rispondeva al sole ma che possedeva verosimilmente un orologio biologico interno (Bear et al, 1999). L'orologio biologico è quello che ci permette di svegliarci sommariamente allo stesso orario anche senza l'uso di una sveglia o che ci permette di capire quando è ora di andare a letto la sera. Ovviamente, però, questo orologio soffre dei continui mutamenti di orario che si fanno dutante la settimana e dunque può facimente sfasarsi.


cervello meditazionepng


La mia considerazione sta nel fatto che "profondamente" ogni esperienza nella vita di una persona possiede un ritmo.  A partire dalla sensazione di voler/dover fare qualcosa, all'attivazione personale, all'azione e successiva integrazione di ciò che abbiamo fatto, possiamo osservare un ritmo di sottofondo. Dunque qual'è stato il mio ritmo durante l'azione effettuata? Sono stato veloce o lento? Preciso o Superficiale? In quale fase mi sono sentito più a mio agio? Sono domande che possono aiutarmi a capire il mio modo di agire ed indirizziarmi a migliorare la capacità di pianificazione ed espressione della mia energia psichica e corporea. Di qui si potrebbe allargare la considerazione ad altre constatazioni riguardo il ritmo personale. Ad esempio: Qual'è il ritmo della mia vita? com'è stato il ritmo della mia infanzia? Ed il ritmo della mia adolescenza? Qual è il mio ritmo di oggi?
Per favorire una maggiore consapevolezza e conoscenza di sè è importante capire se il nostro ritmo quotidiano è troppo veloce rispetto alla capacità del nostro corpo di attivarsi e reagire. E' il caso dello stress in cui la persona è sottoposta a ritmi di vita troppo veloci da sostenere e quindi il cervello (e di conseguenza il corpo) va in uno stato di sofferenza. Prestare attenzione al nostro ritmo quotidiano ci può aiutare a capire se stiamo esagerando con gli impegni o con le responsabilità; possiamo fermarci e guardare il nostro ultimo periodo di vita e capire il ritmo del susseguirsi degli eventi; possiamo notare le parti del nostro crpo che più stanno soffrendo a seguito di un ritmo sostenuto; possiamo attivarci per rendere il nostro ritmo più fluido e funzionale alla nostra vita.

Dunque, per vivrere con un buon ritmo è auspicabile allineare il ritmo di vita quanto più possibile al ritmo circadiano cerebrale e corporeo in modo da favorire un benessere psichico e corporeo restando attivi ed efficaci.




Bibliografia


Bear M., Connors B.W.& Paradiso M.A.  1999. "Neuroscienze. Esplorando il Cervello" Masson-Milano.