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Il ritmo del cervello ed il ritmo della vita

La Terra è un ambiente ritmico dove la temperatura, le precipitazioni e la luce del giorno variano con le stagioni. La luce ed il buio si alternano ogni giorno, le maree si alzano e si abbassano. Per essere davvero competitivo e per sopravvivere un animale deve essere in grado di adattarsi al ritmo dell'ambiente in cui vive. Il cervello gestisce  una grande varietà di sistemi per il controllo ritmico, di cui il sonno e la veglia sono quelli più evidenti.  Alcuni ritmi controllati dal cervello, tuttavia, hanno periodi più lunghi come il letargo mentre altri hanno periodi più corti come i cicli della respirazione, gli stadi del sonno durante la notte e i ritmi elettrici della corteccia cerebrale. Le funzioni di alcuni ritmi cerebrali sono conosciute mentre altre sono oscure ed alcuni ritmi sono indicativi di patologia (epilessie, cefalee, emicrania ecc.). Il proencefalo ed in particolare la corteccia cerebrale producono un certo numero di ritmi elettrici rapidi che sono facilmente misurabili e che sono altamente correlati con lo stato di sonno/veglia. L'elettroencefalogramma è il metodo classico (ed il più utillizzato poichè non invasivo) per la registrazione dei ritmi del cervello ed è essenziale per lo studio del sonno e della la veglia. 

Dunque, gli orologi che governano i ritmi circadiani sono situati nel cervello ed influenzano profondamente la nostra salute ed il nostro benessere. Una prova dell'esistenza di un orologio biologico interno proviene da un organismo privo di cervello, la pianta della mimosa. La mimosa solleva le sue foglie durante il giorno e le abbassa durante la notte. A molti popoli sembrava ovvio che la pianta reagisse alla luce del sole attraverso qualche sorta di movimento riflesso. Nel 1729 il fisico francese Jean Jaques d'Ortous de Mairan verificò l'ipotesi; egli mise alcune piante di mimosa in una stanza buia e trovò che continuavano a sollevare ed abbasare le foglie. Mairan credeva che la pianta riuscisse in qualche modo a percepire il movimento del sole anche chiusa in una stanza. In seguito il botanico svizzero Augustine de Canolle mostrò che una pianta simile al buio muoveva le foglie su e giù ad un intervallo di 22 ore, anzichè di 24 ore. Questo implicava che la pianta non rispondeva al sole ma che possedeva verosimilmente un orologio biologico interno (Bear et al, 1999). L'orologio biologico è quello che ci permette di svegliarci sommariamente allo stesso orario anche senza l'uso di una sveglia o che ci permette di capire quando è ora di andare a letto la sera. Ovviamente, però, questo orologio soffre dei continui mutamenti di orario che si fanno dutante la settimana e dunque può facimente sfasarsi.


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La mia considerazione sta nel fatto che "profondamente" ogni esperienza nella vita di una persona possiede un ritmo.  A partire dalla sensazione di voler/dover fare qualcosa, all'attivazione personale, all'azione e successiva integrazione di ciò che abbiamo fatto, possiamo osservare un ritmo di sottofondo. Dunque qual'è stato il mio ritmo durante l'azione effettuata? Sono stato veloce o lento? Preciso o Superficiale? In quale fase mi sono sentito più a mio agio? Sono domande che possono aiutarmi a capire il mio modo di agire ed indirizziarmi a migliorare la capacità di pianificazione ed espressione della mia energia psichica e corporea. Di qui si potrebbe allargare la considerazione ad altre constatazioni riguardo il ritmo personale. Ad esempio: Qual'è il ritmo della mia vita? com'è stato il ritmo della mia infanzia? Ed il ritmo della mia adolescenza? Qual è il mio ritmo di oggi?
Per favorire una maggiore consapevolezza e conoscenza di sè è importante capire se il nostro ritmo quotidiano è troppo veloce rispetto alla capacità del nostro corpo di attivarsi e reagire. E' il caso dello stress in cui la persona è sottoposta a ritmi di vita troppo veloci da sostenere e quindi il cervello (e di conseguenza il corpo) va in uno stato di sofferenza. Prestare attenzione al nostro ritmo quotidiano ci può aiutare a capire se stiamo esagerando con gli impegni o con le responsabilità; possiamo fermarci e guardare il nostro ultimo periodo di vita e capire il ritmo del susseguirsi degli eventi; possiamo notare le parti del nostro crpo che più stanno soffrendo a seguito di un ritmo sostenuto; possiamo attivarci per rendere il nostro ritmo più fluido e funzionale alla nostra vita.

Dunque, per vivrere con un buon ritmo è auspicabile allineare il ritmo di vita quanto più possibile al ritmo circadiano cerebrale e corporeo in modo da favorire un benessere psichico e corporeo restando attivi ed efficaci.




Bibliografia


Bear M., Connors B.W.& Paradiso M.A.  1999. "Neuroscienze. Esplorando il Cervello" Masson-Milano.


La Dissociazione, il trauma e la Psicoterapia della Gestalt

La dissociazione è un aspetto delle reazioni traumatiche che si sviluppa sia a livello biologico che psicologico. Gli eventi traumatici mettono in discussione la scienza delle relazioni umane perché provocano la rottura degli attaccamenti nella famiglia, nell'amicizia, nell'amore e nella comunità. Mandano in frantumi l’integrità dell’individuo costruita attraverso le relazioni primarie. Le persone che hanno subito dei traumi si sentono completamente abbandonate, sole ed escluse da ogni sistema umano o divino di protezione e cura che sostiene la vita (Herman, 1992)[1].

La dissociazione è una condizione particolarmente impegnativa per paziente e terapeuta. Essa è causata dal trauma, è una sorta di morte vivente in cui la vita quotidiana è ridotta a poco più di un’esecuzione meccanica. Le persone che soffrono di esperienze dissociative sentono che la loro esperienza è priva di significato e descrivono se stessi come immersi in una nebbia per la maggior parte del tempo. Hanno difficoltà a ragionare su se stessi e sul proprio futuro. 

Dall’osservazione fenomenologica si evidenzia un rallentamento della risposta e un appiattimento emotivo, la sensazione è che il paziente abbia abbandonato la conversazione. Lo sguardo diventa assente e spesso gli occhi diventano lucidi, come se entrassero in un sogno ad occhi aperti. Gli episodi dissociativi hanno una durata che varia da pochi istanti a molti giorni nei casi più estremi. Per comprendere le esperienze dissociative più lunghe è utile immaginare di entrare in un lungo e lento flashback. La dissociazione si sviluppa in seguito a un esperienza emotiva impossibile da contenere o elaborare. Se nell'individuo la dissociazione avviene al momento del trauma originale o se la persona vede minacciata l'integrità del proprio corpo, più avanti nella vita la dissociazione diventerà un problema più serio, e può essere predittivo dell'insorgenza di un DPTS (Nijenhuis, 2004, p.89)[2].

Nelle persone non vittime di trauma i conflitti tra i conflitti interiori si risolvono attraverso il dialogo interno che è una funzione che le vittime di trauma hanno compromessa. I conflitti riguardano fondamentalmente il divario tra la necessità di un mondo sicuro e prevedibile in cui l'individuo possa continuare a funzionare e una realtà che minaccia, destabilizza e viene percepita come insopportabilmente dolorosa. Questi conflitti non possono essere risolti grazie al dialogo interiore perché nel trauma l'accesso simultaneo ai diversi stati del sé è precluso (Bromberg, 2006, p. 68)[3]. Il processo di formazione del sé non è organico e la capacità di riflettere sull’esperienza è limitata. Alcuni stati di dissociazione possono raggiungere livelli molto gravi e portare alla depersonalizzazione e derealizzazione della persona.

Bisogna però dare anche un senso alla dissociazione poiché essa è una difesa del nostro corpo agli eventi traumatici. L'aspetto della dissociazione può essere spiegato anche attraverso i processi neurobiologici. Le endorfine endogene svolgono una funzione analgesica (Cozolino, 2002, p.74)[4], aiutando le pesone a far fronte alla sofferenza. Le reti neuronali coinvolte nella disconnessione tra pensieri, sensazioni, comportamenti ed emozioni sono quelle rotture che nell'organizzazione integrata dei sistemi neuronali influenzano la regolazione emotiva, l'attaccamento e il funzionamento esecutivo. Dunque, gli stati del sé separati sono dovuti a una serie di combinazioni variabili di fattori psicologici e fisiologici, che fino a un certo punto riguardano tutti noi. Un modo per comprendere il sé frammentato è considerare ogni singolo fenomeno somatico come l'espressione di una parte o di uno stato del sé.

Nijenhuis et al. (2006)[5] hanno elaborato il Modello della Dissociazione Strutturale. Questo modello parte dal presupposto che una maggiore esposizione al trauma vada di pari passo con una maggiore frammentazione dell'individuo. Per affrontare il conflitto interiore e continuare a condurre una vita normale, le vittime di trauma tendono a riorganizzare il sé in funzioni diverse, una che contenga il trauma e l'altra che si prenda cura della vita quotidiana, che talvolta apparentemente funziona benissimo. Questa forma viene chiamata dissociazione strutturale primaria, si verifica per esempio in seguito a un evento traumatico singolo come un incidente stradale. La dissociazione strutturale secondaria invece, si ha quando il trauma è continuo,  ripetuto e di conseguenza la parte traumatizzata si divide ulteriormente, mentre il sé funzionale continua come in precedenza.
Inoltre, secondo il modello di Nijenhuis (ivi, 2006) vi è una dissociazione strutturale terziaria che è più strettamente collegata a disordini dissociativi. Quando una persona deve mettere in campo delle difese per la propria sopravvivenza può innescare diverse reazioni che riguardano l'attacco, la fuga, il freezing, la sottomissione e l’attaccamento. La persona tenta costantemente, in modo inconsapevole, di entrare in contatto con il ricordo e rispondere tramite una di queste difese in modo che la propria sofferenza diminuisca. Quando l'effetto dello stimolo oltrepassa il limite di tolleranza individuale si viene di fatto catturati da una delle parti sofferenti, bloccati nel ciclo infinito di ripetizione e rievocazione. Bisogna stare molto attenti a queste parti che si presentano nei pazienti, poiché questi possono provare paura o rifiuto per una delle loro parti.

E' il conflitto interiore che caratterizza il processo della frammentazione dissociativa. La mancanza di connessione tra gli Stati del sé è un fattore chiave per comprendere le difficoltà che le vittime di trauma hanno quando devono affrontare i conflitti, mobilitarsi o prendere decisioni. Il lavoro terapeutico in questo caso è quello di trasformare ogni parte in una Risorsa. È assolutamente fondamentale capire il ruolo creativo e difensivo che ogni singola parte rappresenta e il contributo positivo che può dare alla persona. Nella terapia questo implica che conoscendo le parti e la relazione tra esse si arriva a una mutazione del tutto, che può funzionare con fluidità e coerenza.




[1] Herman J.L. (1992) trauma and Recovery: From Domestic Abuse to Political Terror, London: Basic Books (Tra. It. Guarire dal Trauma, Affrontare le Conseguenze della Violenza, dall’Abuso Domestico al terrorismo. Roma: Magi Edizioni. 2005)

[2] Nijenhuis E. (2004). Somatoform Dissociation : Phenomena, Measurement and Theoretical Issues. New York: Norton. (Trad. It. La Dissociazione Somatoforme. Elementi teorico-clinici e strumenti di misurazione. Roma: Astroolabio Ubaldini, 2007).

[3]  Bromberg P. (2006). Awakening the Dreamer: Clinical Journeys. Mahwah , NJ: Analytic Press. (Trad It. Destare il Sognatore. Percorsi Clinici. Milano: Raffaele Cortina Editore, 2009).

[4] Cozolino L. (2002) The Neuroscience of Psychotherapy: Building and Rebuildingthe Human Brain. New York: Norton.

[5] Nijenhuis E., Van Der Hart O., and Steele K. (2006). The Haunted Self: Structural Dissociation and the Treatment of Cronic Traumatization. New York: Norton. (Trad. It. Fantasmi nel Sé. Trauma e trattamento della dissociazione strutturale Milano: Raffaele Cortina Editore. 2011).