La dissociazione è un aspetto delle reazioni traumatiche che si sviluppa sia a livello biologico che psicologico. Gli eventi traumatici mettono in discussione la scienza delle relazioni umane perché provocano la rottura degli attaccamenti nella famiglia, nell'amicizia, nell'amore e nella comunità. Mandano in frantumi l’integrità dell’individuo costruita attraverso le relazioni primarie. Le persone che hanno subito dei traumi si sentono completamente abbandonate, sole ed escluse da ogni sistema umano o divino di protezione e cura che sostiene la vita (Herman, 1992)[1].

La dissociazione è una condizione particolarmente impegnativa per paziente e terapeuta. Essa è causata dal trauma, è una sorta di morte vivente in cui la vita quotidiana è ridotta a poco più di un’esecuzione meccanica. Le persone che soffrono di esperienze dissociative sentono che la loro esperienza è priva di significato e descrivono se stessi come immersi in una nebbia per la maggior parte del tempo. Hanno difficoltà a ragionare su se stessi e sul proprio futuro. 

Dall’osservazione fenomenologica si evidenzia un rallentamento della risposta e un appiattimento emotivo, la sensazione è che il paziente abbia abbandonato la conversazione. Lo sguardo diventa assente e spesso gli occhi diventano lucidi, come se entrassero in un sogno ad occhi aperti. Gli episodi dissociativi hanno una durata che varia da pochi istanti a molti giorni nei casi più estremi. Per comprendere le esperienze dissociative più lunghe è utile immaginare di entrare in un lungo e lento flashback. La dissociazione si sviluppa in seguito a un esperienza emotiva impossibile da contenere o elaborare. Se nell'individuo la dissociazione avviene al momento del trauma originale o se la persona vede minacciata l'integrità del proprio corpo, più avanti nella vita la dissociazione diventerà un problema più serio, e può essere predittivo dell'insorgenza di un DPTS (Nijenhuis, 2004, p.89)[2].

Nelle persone non vittime di trauma i conflitti tra i conflitti interiori si risolvono attraverso il dialogo interno che è una funzione che le vittime di trauma hanno compromessa. I conflitti riguardano fondamentalmente il divario tra la necessità di un mondo sicuro e prevedibile in cui l'individuo possa continuare a funzionare e una realtà che minaccia, destabilizza e viene percepita come insopportabilmente dolorosa. Questi conflitti non possono essere risolti grazie al dialogo interiore perché nel trauma l'accesso simultaneo ai diversi stati del sé è precluso (Bromberg, 2006, p. 68)[3]. Il processo di formazione del sé non è organico e la capacità di riflettere sull’esperienza è limitata. Alcuni stati di dissociazione possono raggiungere livelli molto gravi e portare alla depersonalizzazione e derealizzazione della persona.

Bisogna però dare anche un senso alla dissociazione poiché essa è una difesa del nostro corpo agli eventi traumatici. L'aspetto della dissociazione può essere spiegato anche attraverso i processi neurobiologici. Le endorfine endogene svolgono una funzione analgesica (Cozolino, 2002, p.74)[4], aiutando le pesone a far fronte alla sofferenza. Le reti neuronali coinvolte nella disconnessione tra pensieri, sensazioni, comportamenti ed emozioni sono quelle rotture che nell'organizzazione integrata dei sistemi neuronali influenzano la regolazione emotiva, l'attaccamento e il funzionamento esecutivo. Dunque, gli stati del sé separati sono dovuti a una serie di combinazioni variabili di fattori psicologici e fisiologici, che fino a un certo punto riguardano tutti noi. Un modo per comprendere il sé frammentato è considerare ogni singolo fenomeno somatico come l'espressione di una parte o di uno stato del sé.

Nijenhuis et al. (2006)[5] hanno elaborato il Modello della Dissociazione Strutturale. Questo modello parte dal presupposto che una maggiore esposizione al trauma vada di pari passo con una maggiore frammentazione dell'individuo. Per affrontare il conflitto interiore e continuare a condurre una vita normale, le vittime di trauma tendono a riorganizzare il sé in funzioni diverse, una che contenga il trauma e l'altra che si prenda cura della vita quotidiana, che talvolta apparentemente funziona benissimo. Questa forma viene chiamata dissociazione strutturale primaria, si verifica per esempio in seguito a un evento traumatico singolo come un incidente stradale. La dissociazione strutturale secondaria invece, si ha quando il trauma è continuo,  ripetuto e di conseguenza la parte traumatizzata si divide ulteriormente, mentre il sé funzionale continua come in precedenza.
Inoltre, secondo il modello di Nijenhuis (ivi, 2006) vi è una dissociazione strutturale terziaria che è più strettamente collegata a disordini dissociativi. Quando una persona deve mettere in campo delle difese per la propria sopravvivenza può innescare diverse reazioni che riguardano l'attacco, la fuga, il freezing, la sottomissione e l’attaccamento. La persona tenta costantemente, in modo inconsapevole, di entrare in contatto con il ricordo e rispondere tramite una di queste difese in modo che la propria sofferenza diminuisca. Quando l'effetto dello stimolo oltrepassa il limite di tolleranza individuale si viene di fatto catturati da una delle parti sofferenti, bloccati nel ciclo infinito di ripetizione e rievocazione. Bisogna stare molto attenti a queste parti che si presentano nei pazienti, poiché questi possono provare paura o rifiuto per una delle loro parti.

E' il conflitto interiore che caratterizza il processo della frammentazione dissociativa. La mancanza di connessione tra gli Stati del sé è un fattore chiave per comprendere le difficoltà che le vittime di trauma hanno quando devono affrontare i conflitti, mobilitarsi o prendere decisioni. Il lavoro terapeutico in questo caso è quello di trasformare ogni parte in una Risorsa. È assolutamente fondamentale capire il ruolo creativo e difensivo che ogni singola parte rappresenta e il contributo positivo che può dare alla persona. Nella terapia questo implica che conoscendo le parti e la relazione tra esse si arriva a una mutazione del tutto, che può funzionare con fluidità e coerenza.




[1] Herman J.L. (1992) trauma and Recovery: From Domestic Abuse to Political Terror, London: Basic Books (Tra. It. Guarire dal Trauma, Affrontare le Conseguenze della Violenza, dall’Abuso Domestico al terrorismo. Roma: Magi Edizioni. 2005)

[2] Nijenhuis E. (2004). Somatoform Dissociation : Phenomena, Measurement and Theoretical Issues. New York: Norton. (Trad. It. La Dissociazione Somatoforme. Elementi teorico-clinici e strumenti di misurazione. Roma: Astroolabio Ubaldini, 2007).

[3]  Bromberg P. (2006). Awakening the Dreamer: Clinical Journeys. Mahwah , NJ: Analytic Press. (Trad It. Destare il Sognatore. Percorsi Clinici. Milano: Raffaele Cortina Editore, 2009).

[4] Cozolino L. (2002) The Neuroscience of Psychotherapy: Building and Rebuildingthe Human Brain. New York: Norton.

[5] Nijenhuis E., Van Der Hart O., and Steele K. (2006). The Haunted Self: Structural Dissociation and the Treatment of Cronic Traumatization. New York: Norton. (Trad. It. Fantasmi nel Sé. Trauma e trattamento della dissociazione strutturale Milano: Raffaele Cortina Editore. 2011).